Formaggi

La pastorizia non è un lavoro per vecchi

di Titti Casiello 

 Nel pieno sud della Sardegna rurale un manipolo di giovani pastori ringiovanisce uno dei lavori più antichi del mondo

L’Italia non è un Paese per vecchi e il ritorno alla pastorizia di tanti giovani sardi sembra confermare che neppure i suoi lavori più antichi lo sono.

Lo dimostra il pieno sud della Sardegna rurale con un manipolo di giovani pastori che ha deciso di ridare nuova vita a un lavoro che sembrava, ormai, destinato alla pensione.

Ragazzi nati in quei luoghi che, anziché, andare via in cerca di nuove possibilità lavorative, hanno deciso di offrire, invece, una possibilità proprio alla loro terra dimostrando come sia possibile guardare con un occhio il proprio gregge pascolare e con l’altro far quadrare, comunque, i conti dando vita, a tutti gli effetti, ad una vera attività imprenditoriale.

Affinché gli scontrini alla vendita non restino, però, confinati ai soli abitanti del paese, è necessario fare squadra, facendo conoscere all’intero Bel Paese quegli angoli più nascosti della Sardegna. Ed è questo, uno degli obiettivi promossi dall’Assessorato dell’agricoltura e riforma agropastorale della Sardegna attraverso il programma “Progettare la qualità di carni e formaggi a partire dall’alimentazione degli animali al pascolo” gestito dall’Agenzia Laore Sardegna.

La realizzazione pratica è stata tutta affidata ad Anfosc (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo) presieduta da Roberto Rubino, che attraverso lezioni frontali e confronti continui è riuscito a creare un vero e proprio melting pot tra persone unite da una stessa dimensione artigianale e soprattutto da uno stretto legame con le identità locali.

Sono storie, le loro, che toccano con mano le bellezze e le difficoltà della vita di un pastore, di chi, nei tempi del pascolo, si sposta “a caccia di erba” per nutrire il proprio bestiame o di chi deve affrontare la siccità estiva e la magra invernale. Storie di scelte e di perseveranza, di chi ha deciso di rimanere senza lamentarsi.

Dalla loro hanno l’entusiasmo e la giovane età, quella che serve per diventare famelici di informazioni. Ed è così che dalla teoria sulle tecniche di caseificazione e trasformazione delle materie prime, alla gestione del pascolo e degli allevamenti, le maniche di questi giovani produttori, ogni mattina, sono già sbracciate lavorando per quella ricerca del gusto più volte professate da Rubino e dalla sua associazione.

Azienda agricola Foddis

Da bambina già mungeva gli animali Beatrice Foddis che di anni, oggi, ne ha ventisette. Per lei è stato, quindi, del tutto naturale quando, dopo il diploma, ha deciso di portare avanti il lavoro della piccola azienda di famiglia a Tertenia, poco più di tremila anime nella provincia nuorese.

Oggi è lei, insieme a suo fratello Daniele, che ai piedi del monte Suddu, alleva capre e pecore allo stato semi brado “pascolano su oltre trecento ettari di macchia mediterranea”.

“Con loro ci sta prevalentemente mio fratello” che durante la stagione del pascolo si occupa della loro alimentazione fatta prevalentemente di erbe e bacche che crescono tra piante spontanee di lentisco, mirto e corbezzolo. “Entrano in stalla solo per la mungitura e per dormire durante il periodo del parto”.

Beatrice, invece, si occupa di far andare avanti l’azienda tra permessi e burocrazie varie, ma il tempo per la trasformazione lo trova sempre “è mio zio che mi ha trasmesso la passione della caseificazione”.

Lavora senza nessuna pastorizzazione “solo latte crudo, munto e lavorato” senza mai ricorrere alle fermentazioni con batteri selezionati. E da questo lavoro certosino ne vengono fuori forme di caprino, caciotta morbida, ricotta salata e ovviamente pecorino sardo, tutti che profumano di macchia mediterranea e che Beatrice vende in loco nel suo piccolo punto vendita.

Malamida

Elisa Artitzu, invece, nella vita si occupa di tutt’altro “ma ho una passione esagerata per i formaggi” per questo un paio di anni fa, a San Nicolò Gerrei, ha iniziato ad allevare tre caprette “ci facevo giusto qualche forma di formaggio per la famiglia”.

Poi tanti aggiornamenti, libri e corsi per arrivare, oggi, a quindici caprette il cui pascolo è affidato ad amici fidati. La trasformazione, però, è ancora tutta nelle sue mani “utilizzo un siero innesto ricavato dal nostro latte” ed è questo, secondo Elisa, che apporta al formaggio i profumi proprio del pascolo.

Lei già sapeva di produrre un formaggio di qualità, ma “volevo essere anche in grado di spiegarlo” con quelle lezioni di Rubino che sono cadute, allora, giusto a pennello per riscoprire le parole e le tecniche di degustazione attraverso cui riconoscere il buono e saperlo raccontare.

Sinnos

Tanti i progetti anche per Samuele che a Gergei, nella provincia del Sud Sardegna, ha dato vita al suo sogno. Si chiama “Sinnos”, una realtà strutturata che dal pascolo del bestiame, alla trasformazione della materia prima nel suo caseificio, alla vendita diretta passa, poi, per le tante degustazioni ed eventi che organizza direttamente in loco.

“Abbiamo centotrenta pecore che mungiamo una volta al giorno. Con il loro latte crudo si riesce a dare valore al territorio”. Valore che Samuele trasforma, poi, in robiola fresca, in formaggi stagionati di croste fiorite o di erborinati.

Il tutto sempre senza pastorizzazione “per permettere al formaggio di trasmettere col suo sapore il lavoro che ci sta dietro, cioè la ricchezza del pascolo, che conferisce al latte e ai prodotti caseari un gusto unico”.

Azienda agricola Atzori

Antonello in famiglia non aveva nessun pastore, ma la passione per gli animali, quella l’ha avuta fin da piccolo. “All’inizio ho chiesto un po’ agli amici” e mentre gestiva diciotto pecore continuava a lavorare come manovale. Oggi ha vacche e pecore e la sua vita è tutta concentrata su di loro “al mattino le prime operazioni sono la mungitura, poi si passa alla lavorazione del caglio e a quella del formaggio”.

Fa ancora tutto in casa, preparando formaggi tipici locali come il casizollo e la safreisa, “ma sto preparando un progetto per un mio piccolo caseificio”.

Casu’e Babbu

Si trova a Lodè, 1484 abitanti in provincia di Nuoro, l’azienda di Valerio che aveva un posto fisso e una vita sicura “dopo dieci anni come guardia penitenziaria sentivo che non era quello che volevo”.

All’interno del parco regionale di Tepilora crea, allora la sua piccola azienda, trecento le pecore da portare al pascolo con la costruzione di un piccolo caseificio che arriva poco dopo.

Il suo è stato il primo formaggio ad essere certificato dall’ALNI (Associazione Latte nobile italiano), rispondendo alle regole previste dal disciplinare dell’associazione Anfosc, e anche uno dei primi della zona a diventare, nel 2001, un presidio slow food.

Ma prima di allora casu’e Babbu era, anzitutto, “il formaggio di babbo”, cioè il formaggio che produceva suo padre Gianni e che Valerio voleva ogni giorno sulla pasta.

“È un pecorino tradizionale lavorato a mano, ottenuto da latte intero di pecora sarda non pastorizzato”, secondo Valerio, infatti, con la pastorizzazione si perdono molti elementi nutrizionali, “ma soprattutto si perde il gusto stesso del latte, il cui sapore sta tutto nel pascolo. Perché se è vero che siamo ciò che mangiamo, se i nostri animali mangiano bene anche noi mangeremo bene”.

Sono queste alcune delle storie che il programma “Progettare la qualità di carni e formaggi a partire dall’alimentazione degli animali al pascolo” ha saputo unire, mettendo in connessione chi ha deciso di rimanere. Certo da realizzare c’è ancora, ma è quanto Anfosc, insieme con l’agenzia Loare, si sta adoperando a fare fino al termine del progetto, offrendo ai pastori sardi un aiuto concreto che dalla formazione teorica vada fino alla risoluzione dei piccoli problemi quotidiani.